Lago di Lugano

Il lago di Lugano, altrimenti detto Ceresio (Lagh da Lügan in dialetto ticinese, Lagh de Lügan in lombardo), è un lago prealpino ramificato lungo il confine italo-svizzero. La divisione amministrativa è piuttosto complessa, estendendosi tra il Canton Ticino, la Provincia di Como e la Provincia di Varese. All’Italia appartiene la sezione nord-orientale (col paese di Porlezza e la Valsolda, entrambi in provincia di Como) e un tratto della costa sudoccidentale presso Porto Ceresio (in provincia di Varese). Particolare è la posizione di Campione d’Italia, storica exclave italiana circondata da territorio svizzero. Alla Svizzera appartiene invece la parte più estesa e centrale del bacino, con Lugano ed il centro di Morcote. Il lago ha una superficie di 48,7 km², dei quali circa 18 km² pertinenti alla Repubblica italiana, e presenta una forma curiosamente intricata. Scavato entro la cerchia delle prealpi lombarde, richiama più o meno gli stessi paesaggi del Lario comasco, sebbene sia circa tre volte più piccolo. Le rive, ancora relativamente verdi nel settore settentrionale, risentono della massiccia presenza di edifici moderni, che hanno alterato l’antica tipologia costruttiva dei paesi. In Valsolda rivivono i richiami letterari di Antonio Fogazzaro, che qui ambientò il romanzo Piccolo mondo antico.

Etimologia

Ceresio, l’altro nome del Lago di Lugano, è l’italianizzazione del nome latino Ceresium, di etimologia incerta: secondo alcuni dal latino “cerasa” cioè ciliegia, secondo altri ci sarebbe un’origine più antica da individuarsi in un antico toponimo romano “Ceresium” la cui traduzione più accurata sarebbe: “più blu del cielo”. Un’ulteriore, più accurata versione, dice che il nome deriva dal celtico “keresius” che significa “ramificato”, e in effetti la forma del Lago Ceresio è proprio ramificata, con più rami.

 

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Lago di Lugano

Morfologia

Il lago di Lugano è di origine glaciale essendosi formato al termine dell’ultima glaciazione circa diecimila anni fa. I tre principali immissari sono il Cassarate, il Vedeggio e il Cuccio. Immissari minori sono i torrenti: Bolletta, Laveggio, Magliasina, Mara, Rezzo, Telo di Osteno e Trallo. Dal suo ramo occidentale inizia il fiume Tresa (emissario), che sfocia nel Lago Maggiore e appartiene quindi al bacino idrografico del fiume Ticino. Il punto più profondo (ben 288 metri) si trova nella parte superiore del bacino, tra il confine svizzero e quello italiano, a pochi chilometri da Gandria. Le località di Melide e Bissone, che si affacciano su sponde opposte del lago, sono collegate da un ponte diga sul quale passano l’autostrada nazionale A2, la strada cantonale e la ferrovia. Questa costruzione poggia le sue fondamenta su depositi morenali (morena frontale) lasciati dopo il ritiro dei ghiacciai in epoca preistorica.

Fauna

Nonostante i gravi danni dovuti all’inquinamento, il lago è molto pescoso. A parte alcune zone protette, come nelle foci dei fiumi Cassarate, Laveggio, Magliasina e Vedeggio, è possibile pescare ovunque anche se a condizioni diverse. Le più comuni specie ittiche autoctone che popolano il Ceresio sono l’agone, l’anguilla, il barbo, la Bottatrice, il cavedano, il luccio, la scardola, la savetta, la tinca e la trota lacustre.I pesci autoctoni che invece sono presenti in maniera minore sono la Cagnetta, il Ghiozzo padano, il temolo, il pigo, il triotto, l’alborella (estinta in seguito all’introduzione del gardon e ora in ripresa[2]), oltre che ad altre specie minori. Tra le specie alloctone sono presenti: il salmerino alpino, il Persico trota, la Carpa, il Coregone (coregone bondella e coregone lavarello), il lucioperca, il persico reale, il Gardon, il persico sole ed il pesce gatto. Le specie protette sono l’alborella, il temolo ed il gambero di fiume autoctono (Austropotamobius pallipes). Nel 1895 è stato introdotto il salmerino, prelevato dal lago di Zugo, mentre tra il 1894 e il 1897 è stato immesso il coregone. La diga di Melide priva d’impianti di risalita ha avuto un forte impatto sulla cheppia (Alosa fallax) che non riesce a raggiungere le acque del lago per riprodursi. A causa di un’immissione di ignota provenienza, avvenuta verisimilmente verso la fine degli anni ottanta, il gardon ha trovato habitat ideale sostituendosi all’alborella, che si è quasi estinta. Si sta pensando a un ripopolamento controllato soprattutto nelle zone di Ponte Tresa. Negli ultimi anni, come conseguenza della presenza massiccia di cormorani sul Ceresio, si sono viste diminuire molte specie di pesci, a soffrirne ne è soprattutto il gardon (che è una specie aliena invasiva). Oltre alla fauna già citata, il lago è popolato da cigni, folaghe, germani reali e svassi.

Fossili

Tutta la fascia a ridosso della riva meridionale del lago di Lugano è ricca di fossili. Il centro di questi giacimenti fossiliferi è il Monte San Giorgio, dove si sono trovati fin dall’Ottocento numerosissimi fossili del Triassico medio (circa 240 – 230 milioni di anni fa). Il giacimento di Monte San Giorgio si prolunga verso ovest in territorio italiano nel giacimento di Besano. Fossili risalenti al Giurassico inferiore (circa 180 milioni di anni fa) sono stati trovati sempre lungo la riva meridionale del lago, più a est, a Osteno.

Caratteristiche amministrative

Secondo il diritto internazionale, a causa della sua conformazione il Ceresio è inquadrato ai fini della Convenzione di Montego Bay come acque territoriali e non come acque interne, stabilendo così il principio della libera navigazione inoffensiva nel suo bacino. L’Italia con il decreto 633/72 regolamenta le proprie acque territoriali e le definisce acque italiane del lago di Lugano come zona extradoganale in cui non si applica la normativa doganale italiana in fatto di IVA al 22% e le altre accise. Anche per la licenza di pesca esiste un unico regolamento stabilito dalla Convenzione italo-svizzera per la pesca. Questo regolamento internazionale sostituisce tutte le norme regionali e provinciali della Lombardia e quelle cantonali del Canton Ticino.

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Lago di Carezza

Il lago di Carezza (Karersee in tedesco) è un piccolo lago alpino situato nell’alta Val d’Ega a 1.534 m nel comune di Nova Levante, a circa 25 km da Bolzano in Alto Adige. È incastonato tra fitti boschi di abeti e si trova sotto le pendici del massiccio del Latemar, che si specchia nella sua acqua cristallina. Il lago è noto per i suoi meravigliosi colori e per questo nella lingua ladina viene chiamato anche “Lec de Ergobando” (o “arcoboàn“), cioè “lago dell’arcobaleno”. Il nome del lago deriva, secondo la Guida del Touring Club Italiano, dalle “Caricaceae”, famiglia di piante dalle foglie larghe lobate (“carezza” sarebbe l’adattamento italiano del termine dialettale locale che indica queste piante). Il lago è privo di immissari visibili ed è alimentato da sorgenti sotterranee. La sua estensione e la sua profondità variano a seconda della stagione e delle condizioni meteorologiche: il livello più alto è raggiunto normalmente in tarda primavera con lo scioglimento delle nevi. In tale periodo raggiunge una lunghezza di 287 m e una larghezza di 137 m, mentre il punto più profondo corrisponde a circa 17 m. L’acqua di supero scorre nel ruscello che sgorga a ovest del lago. Nei mesi successivi, il livello dell’acqua cala, finché verso la fine di ottobre il lago raggiunge il livello dell’acqua più basso, con una profondità di soli 6 m. In inverno il lago di solito gela. La temperatura massima dell’acqua (13 °C) viene registrata nel mese di agosto. Nelle sue acque vive il salmerino alpino. Nei boschi attorno è molto comune il picea abies, abete rosso dalle qualità di abete di risonanza usato nella costruzione di casse armoniche. Il lago è oggi una delle mete turistiche classiche del Trentino-Alto Adige. Anche nella stagione invernale viene spesso visitato da sommozzatori, che effettuano volentieri le loro riprese subacquee sotto uno spesso strato di ghiaccio e registrano nei documentari i giochi di colori delle acque sotterranee. Il piccolo lago di montagna è celebre soprattutto per le sue placide acque, di colore verde cupo, e per il bel panorama di montagna con il gruppo del Catinaccio e il Latemar sullo sfondo. È raggiungibile attraverso la strada statale 241 (strada statale della Val d’Ega). La strada, molto trafficata soprattutto d’estate, attraverso il passo di Costalunga, situato nelle immediate vicinanze del lago, porta a Vigo di Fassa, dove si collega con la strada statale 48 delle Dolomiti. Attorno al lago è percorribile un sentiero attrezzato, ma non è consentito accedere alle sue rive. È particolarmente bello alla sera e al primo mattino, quando il gruppo montuoso del Latemar con il verde della foresta di Carezza si specchia nelle acque cristalline del lago.

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Leggende

Lo spettacolare aspetto del lago ha da sempre generato ammirazione e meraviglia. Intorno ad esso si raccolgono molte leggende altoatesine e numerosi scrittori e poeti ne hanno fatto il motivo di ispirazione dei loro dipinti e racconti. Le sue caratteristiche derivano dalla leggenda della bellissima Ondina, ninfa che ne abitava le acque. Lo stregone del Latemar se ne era innamorato e tentò più volte di rapirla. Un giorno, consigliato dalla Stria del Masarè, fece apparire sopra il Lago di Carezza un bellissimo arcobaleno allo scopo di attrarre la ninfa. Quando quest’ultima uscì dalle acque vide lo stregone e fuggì spaventata. Allora il mago, preso da gran furore, prese l’arcobaleno e lo gettò in mille pezzi nel lago. Da quel giorno nelle acque del lago di Carezza si rispecchiano tutti i colori dell’iride. Una statua in bronzo raffigurante Ondina è stata posta nel lago.

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Luccio (Esox lucius)

Il luccio (Esox lucius) è un pesce di acqua dolce appartenente alla famiglia Esocidae dell’ordine degli Esociformes. È caratterizzato dalla bocca a “becco d’anatra”, dotata di robusti e acuminati denti. Può raggiungere 1,40 m di lunghezza e superare i 20 kg di peso (sono stati catturati esemplari di quasi 30 kg). La crescita e le dimensioni finali sono piuttosto variabili in relazione all’alimentazione e alla temperatura dell’acqua. In genere raggiunge i 20 cm durante il primo anno di vita e il metro in età adulta. Gli esemplari di maggiori dimensioni sono generalmente femmine. Il luccio ha la particolarità singolare di avere più di 600 denti molto affilati sull’esoscheletro, più quelli che ha sulla lingua. Oltre che dalla bocca di grosse dimensioni, fornita di file di denti uncinati per meglio trattenere le prede una volta catturate, il luccio è caratterizzato da una testa piuttosto grande rispetto al corpo, di forma allungata e schiacciata (per questo motivo è noto in alcune regioni d’Italia come “Luccio Papera”). La colorazione varia a seconda dell’habitat e della colorazione dell’acqua: ventre bianco giallastro, dorso verde-bruno maculato scuro. La forma corporale è influenzata dalla corrente delle acque in cui vive: nelle acque in cui siano presenti correnti assume una fisionomia allungata, nelle acque ferme presenta un corpo più tozzo. Le femmine, che raggiungono la maturità sessuale intorno ai 3-4 anni di età, depongono le uova all’inizio della stagione primaverile in zone ricche di vegetazione; esse aderiscono alle piante acquatiche fino alla schiusa, quando le larve permangono attaccate agli steli vegetali per mezzo di un organo adesivo del capo e in pochi giorni assorbono completamente il sacco vitellino. È un predatore di altri pesci, caccia restando immobile fra le piante acquatiche in attesa che la preda si avvicini, in assenza di prede consone non disdegna rane, piccoli mammiferi, giovani uccelli acquatici e il cannibalismo. Le popolazioni di luccio presenti in Italia sono state descritte come nuova specie nel 2011 indipendentemente da due gruppi di autori, ovvero come Esox cisalpinus (Bianco e Delmastro, 2011) o Esox flaviae (Lucentini et al., 2011). Queste popolazioni mostrano, oltre a differenze genetiche e molecolari, anche una livrea caratterizzata da bande o strisce chiare su fondo scuro (contro la colorazione verdastra con macchie rotondeggianti giallastre, tipica di E. lucius) e un minor numero di scaglie lungo la linea laterale.

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Habitat

Questo pesce è diffuso nel continente nordamericano, pressoché in tutti i bacini fluviali atlantici e del Pacifico. In Eurasia è presente dalla Francia alla Siberia, compresa l’Italia. In Irlanda e Inghilterra è presente in gran numero. Il luccio è un utile e prezioso equilibratore naturale. Nella sua dieta preferisce selezionare prede morte o deboli o malate, inibendo anche l’eccessiva prolificità di altri pesci, ciprinidi soprattutto, i quali, sviluppandosi in numero eccessivo, potrebbero modificare l’equilibrio di alcuni ambienti.

Informazioni alla Pesca

È considerato il re dei predatori d’acqua dolce. Si pesca a spinning oppure con il vivo o l’esca morta, sia a fondo che con il galleggiante. Generalmente si pesca individuando la tana o il posto dove presumibilmente è in caccia: tronchi sommersi, canneti, erbai, tappeti di ninfee possono essere tutti posti dove l’esocide attende le sue prede in agguato. Nei grandi laghi spesso il luccio adotta una tecnica di caccia “sospeso”, praticamente cacciando sotto i banchi di pesce di cui si nutre in quel determinato ecosistema (negli Stati Uniti questa tecnica è nota come “suspending pike”). Bisogna porre attenzione quando lo si salpa poiché è dotato di denti affilati; è consigliato l’uso dei guanti e del guadino e della presa opercolare: praticamente, quando il pesce è ormai stanco si fa scivolare la mano con le 4 dita chiuse sotto una delle due branchie e la si lascia scorrere verso la punta della bocca fino ad arrivare all’osso mandibolare; questa presa è sicura e assolutamente indolore per il pesce. È importante non sorreggere il pesce in verticale per non creare lesioni spinali che potrebbero comprometterne la sopravvivenza. Prima del rilascio è opportuno effettuare la riossigenazione del pesce. Nella pesca è indispensabile un terminale in acciaio, titanio o fluorocarbon di generose dimensioni (da 0,80 mm in su), perché il pesce con i denti potrebbe tranciare il filo e non è raro che, soprattutto se di grandi dimensioni, ingoi tutta l’esca. Tra le esche valide per insidiarlo si segnalano il morto manovrato e, per lo spinningspinnerbait di dimensioni generose (da 1 oz. in su), jerkbaitswimbait, come gli intramontabili minnow, i rotanti e gli ondulanti, tutti di grandi dimensioni, esche siliconiche di vario tipo e forma, ma sempre di generose dimensioni per selezionare la taglia del pesce. L’attrezzatura per lo spinning dovrà essere proporzionata alla potenza di questo splendido pesce, trecciato di almeno 40 libbre, alla fine della lenza madre si collegherà un terminale di acciaio armonico o un finale di acciaio termo saldante (per evitare che i denti del luccio tronchino la lenza) che terminerà con una girella proporzionata con relativo moschettone che dà la possibilità di cambiare rapidamente l’artificiale. La canna dovrà lanciare da 10 a 40 grammi almeno, anche se sono usate canne che lanciano oltre 120 grammi. Per la pesca dalla barca si utilizzano canne più corte. Spettacolare è la pesca top water, effettuata con rane e walking the dog, soprattutto in primavera ed estate.

Gastronomia

Nel tratto lombardo del Po si possono trovare ottime ricette a base di luccio, che viene preparato in umido; da segnalare nel cremonese il “Luccio alla Farnese”. È anche un piatto tradizionale della cucina milanese. A Mantova il luccio viene preparato “in salsa”, lessandolo in fumetto e poi lasciandolo riposare per parecchie ore, prima di servirlo, in una salsa composta di odori, capperi, peperoni, aceto, olio e fondo di cottura. Di solito è accompagnato da fettine di polenta abbrustolita. Il Luccio in salsa di Marmirolo, tipico del territorio di Marmirolo, in provincia di Mantova, che ha acquisito lo stato di “De.C.O.” (Denominazione comunale d’origine). In Germania e nell’est europeo è considerato un buon ingrediente ed esiste una grande varietà di ricette di primi e secondi piatti a base di luccio. Tuttavia nella moderna pesca sportiva del luccio si sta tendendo sempre più a rilasciare il pesce catturato per non alterare il già fragile equilibrio del luccio nelle acque pubbliche.

Curiosità

Sul lungolago di Desenzano del Garda è presente un tabellone con una poesia di Gino Benedetti, dedicata al luccio.

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Agone (Alosa agone)

L’agone (Alosa agone) è un pesce di acqua dolce appartenente alla famiglia dei Clupeidi dell’ordine degli Clupeiformes. Un tempo era considerata una sottospecie dell’Alosa fallax, probabilmente ha avuto origine da esemplari che anticamente rimasero intrappolati nei laghi subalpini e si è adattata alle peculiari condizioni di vita dell’ambiente lacustre. Da alcuni ittiologi Alosa agone è considerata una specie a sé, questa interpretazione è contrastata dalla maggioranza degli specialisti, anche visto quello che è successo nel lago Omodeo, dove le cheppie sono diventate agoni in soli 10 anni. Anche analisi molecolari e genetiche sembrano dimostrare che non esiste una vera divergenza tra le due forme. Lunghezza: 60 cm Taglia media: 15-30 cm La tipologia caratterizzata da esemplari di dimensioni ridotte e con poche macchie sul dorso (fino 4 o 5) è tipica del Lago di Como. In altri laghi prealpini, soprattutto nel Lago di Lugano e nel Lago di Garda, è invece più diffusa un’altra varietà i cui individui hanno dimensioni leggermente maggiori e più macchie sul dorso (fino a 9 – 10). Dimorfismo sessuale: nel periodo riproduttivo le femmine sono leggermente più gonfie. La stagione degli accoppiamenti comincia in maggio e si protrae fino ad agosto, talvolta anche fino a settembre. Durante il periodo della deposizione delle uova recandosi nelle ora notturne in prossimità delle rive ghiaiose del Lario, è possibile vedere e sentire i tipici “barboi”, provocati dall’atto dell’accoppiamento che avviene ad uno-due metri dalla riva. Nell’accoppiamento una femmina ed uno o più maschi emettono simultaneamente i loro gameti compiendo rapidi giri concentrici in superficie. L’agone depone uova biancastre non adesive, ma fluttuanti, che affondano lentamente e schiudono in circa sei giorni. Vengono deposte da ogni femmina dalle 15-20 mila uova. La maturità sessuale viene raggiunta prima dai maschi (2-3 anni) e poco dopo dalle femmine (3-4 anni). L’alimentazione è planctofaga nei primi tre anni di vita, dopo di che diventa anche ittiofaga ed in parte onnivora nutrendosi anche di crostacei cladoceri e copepodi. Non è una specie in pericolo di estinzione, tuttavia risente di diversi fattori come la pesca intensiva, il degrado e le alterazioni ambientali (che l’hanno condotta in serio pericolo nel Lago d’Orta, nel Lago Ceresio e nel Lago Lario).

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Habitat

È stanziale nei grandi laghi prealpini (Lago di Como, Lago Maggiore, Lago di Lugano, Lago di Garda, Lago d’Iseo e Lago d’Orta) dove ha abitudini pelagiche.
È stato introdotto con successo nei laghi vulcanici laziali (Lago Albano, Lago di Bracciano, Lago di Bolsena e Lago di Vico).
Nel Lago Omodeo, creato in seguito allo sbarramento del fiume Tirso, delle cheppie rimaste intrappolate si sono trasformate in agoni in una decina d’anni. Sempre in Sardegna, è presente anche nel lago medio del Flumendosa, in notevole quantità.

Informazioni alla Pesca

La pesca amatoriale dell’agone è consentita soltanto a partire dal 20 giugno con mosche artificiali (massimo 5 per lenza) durante il giorno, dai caratteristici cavalletti, oppure con il quadrato (rete di forma quadrata montata su un telaio dotato di manico) dopo il tramonto. La tipologia lariana è ritenuta la più raffinata in quanto dotata di carni più magre, adatte all’essiccazione e quindi alla preparazione dei misultin: agoni eviscerati, salati, essiccati, quindi pressati ed inscatolati con foglie di alloro. Per essere consumati, vengono scaldati sulla griglia rapidissimamente da entrambi i lati e serviti con polenta, talvolta persino freddi. Tipico della tradizione culinaria del Lago di Como è l’agone essiccato, meglio noto come Missoltino.

Curiosità

Non è una specie comunemente allevata in acquario se non in grandi strutture pubbliche.

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Lago di Massaciuccoli

Il lago di Massaciuccoli (in provincia di Lucca, con il lembo meridionale appartenente alla provincia di Pisa, vicino all’omonima frazione di Massarosa in provincia di Lucca) è un lago costiero della Toscana. Il lago e l’area palustre intorno fanno parte del Parco naturale di Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli e di un’oasi LIPU, viste le numerose specie di uccelli presenti.

Geologia

La pianura bonificata circostante il lago di Massaciuccoli era in origine interamente coperta da zone palustri, formate dalle antiche foci dell’Arno. I terreni palustri residui, localizzati a nord del lago, sono tuttora di ampiezza rilevante (quasi doppia rispetto alla superficie dello specchio d’acqua principale). Tutto il lago e parte della zona palustre sono inclusi nel Parco Naturale di Migliarino – San Rossore, che non è purtroppo stato in grado di arrestare alcune forme di pesante degrado ambientale. Il lago è provvisto di un emissario funzionale, il Canale Burlamacca che si getta entro il porto di Viareggio, e di un altro, il fosso della Bufalina, dal quale le acque vengono spinte al mare tramite un impianto idrovoro; gli immissari consistono nel modesto Rio di Quiesa, il canaleBarra e soprattutto nei canali di drenaggio delle bonifiche retrostanti la sponda pisana, che apportano attualmente acque di cattiva qualità. Dato il clima relativamente mite e la vicinanza al mare è piuttosto raro vedere il lago completamente ghiacciato. L’ultima volta il fenomeno si è presentato nel gennaio del 1985. Ancora nel XX secolo si ebbe molto ghiaccio nel 1929. Fenomeni minori furono registrati nel 1956 e all’inizio del secolo. Per i secoli precedenti mancano studi approfonditi, ma è lecito ritenere che vi siano stati altri episodi di congelamento, ad esempio nel 1709. Fino alla fine del XX secolo era invece relativamente frequente veder ghiacciare le paludi nelle zone vicine alla riva.

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Storia e Cultura

Il bacino era conosciuto già in epoca romana, come si rileva dalla Tabula Peutingeriana, come lago delle Fosse Papiriane. Dal tardo medioevo il lago divenne zona di confine tra la repubblica di Lucca e la Repubblica di Pisaprima, poi con il Granducato di Toscana . Tale situazione politica rallentò possibili opere di bonifica unitarie; nel corso dei secoli XVII e XVIII la sponda meridionale fu oggetto di limitate bonifiche toscane. Nella prima metà del XIX secolo l’architetto Lorenzo Nottolini ideò un progetto per la bonifica del lago per conto della Repubblica di Lucca. Tale ipotesi, che non ebbe seguito, prevedeva di scavare un letto artificiale per il Serchio, che sarebbe andato a sboccare in mare più a Nord drenando le acque delle paludi e del lago e coinvolgendo parzialmente anche la bonifica del Lago di Bientina, con il potenziamento del Canale Ozzeri-Rogio nel Serchio. Sempre durante il Ducato di Lucca (nel regno di Carlo Lodovico) le acque delle aree palustri poste a Nord del lago vennero utilizzate per dar luogo a risaie abbastanza estese. Alla fine del XIX secolo il musicista lucchese Giacomo Puccini acquistò una casa a Torre, sulla riva occidentale del bacino. La struttura venne trasformata in un elegante villino che divenne luogo di residenza preferito del maestro. Oggi Puccini è sepolto nella cappellina della casa e la località, in suo onore venne ribattezzata Torre del Lago Puccini, frazione di Viareggio. Il lago fu inoltre uno dei soggetti più spesso ritratti da alcuni esponenti della pittura macchiaiola e post-macchiaiola, come Cabianca, Pagni, e soprattutto i fratelli Tommasi. Nonostante questi aspetti culturali, la zona è stata storicamente interessata da pesanti manomissioni ambientali dovute a forme improprie di sfruttamento, a cominciare da quello della Torbiere d’Italia SpA, che produsse ai primi del secolo scorso tre enormi cicatrici nel manto palustre a nord dello specchio acqueo (il Fosso Morto, Punta Grande e il Centralino), per proseguire più recentemente con il business dell’estrazione delle sabbie silicee.

Flora

Sono presenti nell’area piante tipiche palustri come la cannuccia di palude, la ninfea, la lisca, la Lemna minor, la Ceratophyllum demersum, la Lemna gibba, l’Osmunda regalis, la Typha latifolia e la Typha angustifolia. La zona ospita tuttora le più vaste estensioni di falasco (Cladium mariscus) esistenti in Italia, e grandissime estensioni di sfagno che rivestono un enorme valore ambientale. Il falasco veniva localmente raccolta in passato ed usata soprattutto come strame nelle stalle. Il valore naturalistico del Lago di Massaciuccoli è notevolmente diminuito negli ultimi anni a causa dell’eutrofizzazione delle acque, un problema a tutt’oggi irrisolto che ha causato la scomparsa di molte specie di uccelli acquatici per le quali la zona era celebre e l’alterazione della vegetazione naturale.

Fauna

Sono presenti nell’area il falco di palude, l’airone cenerino, l’airone bianco maggiore e l’airone guardabuoi (soprattutto nei campi intorno a Migliarino Pisano), la garzetta, il beccaccino, la folaga, il germano reale e l’usignolo di fiume, la cannaiola e il cannareccione nel canneto. In inverno sono presenti come svernatori il cormorano, lo svasso maggiore, lo svasso piccolo. In primavera e in estate il lago si popola di rondini e di balestrucci, oltre ai cavalieri d’Italia, alcuni trampolieri, il raro tarabuso, la sgarza ciuffetto, la marzaiola, il mignattino e il mignattino alibianche (simbolo dell’oasi). Nella zona di Villa Ginori è presente una numerosa garzaia di aironi rossi (almeno 80 coppie). Sono presenti la tinca, il cefalo, la gambusia, la carpa, il carassio, il persico trota e il persico sole, la scardola, l’anguilla. La specie più diffusa nel lago è il pesce gatto. Negli anni ’90, la comparsa nell’area del vorace gambero rosso della Louisiana[4], ha comportato delle alterazioni negli equilibri ecologici del lago, ben documentate dalla zoologa fiorentina Francesca Gherardi.

Sport

Durante la stagione primaverile ed estiva, sul lago si svolgono diverse attività sportive, in particolare canottaggio, canoa e vela. Un altro importante aspetto di attrazione è costituito dalle visite guidate organizzate dalla LIPU, dal momento che il lago rientra in un’area protetta.

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Lago di Varese

Il lago di Varese (Lagh de Vares in lombardo) è situato ai piedi delle Prealpi Varesine a un’altitudine di 238 m s.l.m.; ha una profondità media di 11 m e massima di 26, mentre la superficie è di 14,95 km2. Si tratta del 10° lago italiano per estensione, fra quelli interamente compresi nei confini nazionali, e del 12° in totale. Conosciuto per la sua inconfondibile forma a scarpa, bagna in tutto nove comuni: Varese, Azzate, Bardello, Biandronno, Bodio Lomnago, Buguggiate, Galliate Lombardo, Cazzago Brabbia e Gavirate, quest’ultimo è stato a lungo il principale comune ad affacciarsi sul lago (il comune di Varese ne acquisì una buona parte di sponde solo negli anni venti, quando divenne capoluogo), il lago infatti era anticamente noto come Lago di Gavirate. Insieme coni laghi Maggiore, di Comabbio, di Lugano, di Ganna, di Ghirla e di Monate fa parte dei cosiddetti Sette Laghi della provincia di Varese. Sul lago di Varese, rinomato campo di gara per il canottaggio, hanno sede la Canottieri Varese, organizzatrice di eventi remieri nazionali ed internazionali, e, a partire dal 1960, anche la canottieri Gavirate, che ha riportato numerosi successi come la coppa Montù nel 2007 nel 2008 e 2009. Il lago è attualmente (dal 2015) non balneabile.

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Formazione

La nascita del Lago di Varese risale a circa 15.000 anni fa, contemporaneamente a quella del vicino lago Maggiore, quando il ritiro del ghiacciaio del Verbano creò la grande conca in cui si trovano oggi la città e il suo lago, che all’epoca aveva una superficie molto più ampia e comprendeva gran parte dei laghi circostanti.

Isolino Virginia

La piccola isola del comune di Biandronno è probabilmente il sito di maggior interesse del Lago di Varese.

Flora e Fauna

Adagiata tra i bacini del Lago di Varese e del Lago di Comabbio, la Palude Brabbia, estesa 459 ettari, è una riserva naturale che tutela uno degli esempi meglio conservati di torbiera di pianura. La palude è un alternarsi di zone coperte da una fittissima vegetazione acquatica, con ampi canneti, salici e ontani, a tratti di acqua scoperta, i cosiddetti chiari, piccoli specchi d’acqua di forma regolare. A partire dal 1994 la gestione della riserva è stata affidata alla Lipu.

Sono circa 170 le specie di uccelli che frequentano la zona del Lago di Varese. Tra le più difficili da incontrare ci sono alcune specie di anatre come la moretta tabaccata e la canapiglia o aironi come il tarabuso e l’airone rosso. Nel lago sono presenti le seguenti specie: persico reale, black bass, luccio, anguilla, cavedano, carpa, tinca, siluro, pesce gatto, alborella, scardola, triotto, persico sole carassio e gambero rosso della Louisiana

Storia e Cultura

L’isola ha cambiato nome diverse volte: chiamata originariamente Isola di S. Biagio, divenne poi Isola di Donna Camilla Litta fino al 1878 quando il suo ultimo proprietario Andrea Ponti le diede il nome di Isolino Virginia, nome che conserva tuttora.

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Lago di Tenno

Il lago di Tenno (Tennosee o Thennersee in tedesco) è un lago situato nel comune di Tenno (Trento), a pochi passi dal borgo medievale di Canale di Tenno (o Villa Canale). Il bacino è di origine unica e si è formato in seguito alla frana del dosso di Ville del Monte che ha bloccato il corso del suo immissario. Il lago ha una superficie di circa 195,190 m², è il sesto lago per estensione del Trentino.

Formazione

Il periodo di nascita del lago si fa risalire attorno all’anno 1100. Precedentemente nella zona dove ora si trova il lago si trovava la confluenza di due valli (la valle di Ballino e quella dell’alto corso del Magnone). Il letto del Rì Sec si trovava all’incirca 220 metri più in basso rispetto all’attuale superficie del lago e sotto l’attuale promontorio delle Ville del Monte si trovava la confluenza tra il Rì Sec e il Magnone. Una frana di proporzioni colossali staccatasi con molta probabilità dal monte Misone ha riempito la zona formando una conca e sbarrando il corso del torrente Rì Sec, nei primi anni seguiti alla frana l’acqua riempì completamente la conca ma successivamente la pressione fece sì che si aprisse un tunnel nel dosso di Ville Del Monte facendo calare il lago fino al livello attuale verso il 1400.

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Geologia

Il lago è di forma rotonda con un braccio che scende a sud di circa 200 m². Nel braccio sud l’acqua è bassa per molti metri mentre sulle coste nord l’acqua scende subito in una vallata. Il punto più fondo vicino alla foce del torrente Laurel è di 47.7 metri.

Emissari ed Immissari

Nel lago di Tenno confluiscono due immissari: il più importante, con una entrata di circa 20 m³ al secondo, è il Rì Sec (o Rio Secco in italiano) detto così perché nella parte della sua foce è coperto da molti sassi e il corso d’acqua non si vede più. Il secondo immissario è il torrente Laurel (in italiano Laurino) che, nonostante il suo brevissimo corso di appena 100 metri, ha una notevole portata d’acqua, acqua che non supera mai i 5 °C. L’emissario unico è il torrente Picinino che va poi ad affluire nel fiume Magnone da dove nascono le cascate del Varone. Il torrente Picinino esce a 15 metri di profondità dal lago e sgorga al di là del dosso di Ville del Monte da dove scorre per 2 km prima di confluire nel Magnone

Le isole

Il lago di Tenno possiede un’isola con una superficie di 3000 metri quadrati. L’isola separa la grande zona tondeggiante a nord con il piccolo braccio a sud. Nessun collegamento stradale dai paesi vicini arriva direttamente sulla costa. La navigazione a motore è vietata. Le spiagge dell’isola sono di forma perfettamente rotonda. Nei periodi di bassa compare uno scoglio chiamato isola dell’86 perché comparve per la prima volta nel 1986.Su questo scoglio è stata cementata una targa metallica con scritti la data e gli autori dell’opera. (Ragazzi di Ville del Monte). Negli ultimi anni il livello del lago è piuttosto basso e l’isola (che è considerata biotopo) si collega alla terra da una strada di sassi, più o meno larga a seconda del livello dell’acqua presente. Qualche mese fa il lago ha cominciato a gonfiarsi finché l’isola è stata coperta, ma si vedono solo i rami e le foglie degli alberi presenti.

Il pericolo del prosciugamento

Il livello del lago dal 1970 ad oggi si è abbassato di svariati metri. Fino a circa 30 anni fa, le rare volte che l’isola risultava collegata alla terraferma erano un autentico avvenimento. Oggi, durante l’estate, il tratto di lago più stretto che si trova alle spalle dell’isola si prosciuga completamente e l’isola diventa addirittura un piccolo promontorio, una penisola collegata alla terraferma. La causa di questo progressivo prosciugamento è principalmente l’azione dell’uomo: dal 1970 ad oggi, infatti, è stata ridotta se non annullata del tutto la portata dei fiumi che alimentavano il lago. Il Rì sec che veniva per gran parte alimentato dai laghi Soi oggi ha dimezzato la sua portata a causa della scomparsa dei laghi stessi. È stata fortemente ridotto il contributo delle sorgenti di Tenèra nel gruppo delle Pichee, che sono state sfruttate per rifornire d’acqua le abitazioni e gli impianti di pattinaggio di Fiavè. Inoltre le sorgenti del Rio freddo (affluente del Rì sec) sono state deviate per irrigare i vigneti di Volta di Nò, Cologna di Tenno e Varignano di Arco. Nella primavera del 2008 il lago è tornato a un livello che non raggiungeva da almeno sette anni, parte della vegetazione cresciuta negli ultimi anni lungo le sponde è stata sommersa e il lago arriva molto vicino alla sorgente del torrente Laurel. Il Ri Sec ha duplicato la sua portata e il lago ha superato i livelli di norma che non raggiungeva da tempo. A causa dei lavori di ripristino, nella zona dei laghi Soi sono state riformate le due conche e le forti piogge di primavera, assieme alle nevi delle Pichee, hanno fatto sì che i laghi tornassero a formarsi. Dopo anni, i laghi Soi esistono ancora, la principale sorgente del Ri Sec è tornata a esistere. Questo evento ha contribuito a riportare temporaneamente il livello del lago alla normalità.

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Lago di Braies

Il lago di Braies (Pragser Wildsee in tedesco) è un piccolo lago alpino situato in Val di Braies (una valle laterale alla Val Pusteria) a 1.496 m s.l.m. nel comune di Braies (BZ), a circa 97 chilometri da Bolzano.

Geografia

Il lago giace ai piedi dell’imponente parete rocciosa della Croda del Becco (ted. Seekofel, lad. Sass dla Porta 2.810 m) e si trova all’interno del parco naturale Fanes – Sennes e Braies. Ha un’estensione di circa 31 ettari con una lunghezza di 1,2 km e una larghezza di 300-400 metri. È uno dei laghi più profondi della provincia autonoma di Bolzano, con ben 36 metri di profondità massima e una profondità media di 17. Il lago è di origine franosa, in quanto la sua creazione è dovuta allo sbarramento del rio Braies a causa di una frana staccatasi dal Sasso del Signore. Il lago è una meta turistica, che attira per il colore blu intenso delle sue acque limpide e per lo scenario naturale in cui è immerso. In effetti il lago è circondato su tre lati da cime dolomitiche, tra cui la Croda del Becco. Il lago è il punto di partenza dell’Alta via n. 1 delle Dolomiti detta “La classica” che arriva fino a Belluno ai piedi del Gruppo dello Schiara.

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Toponimo

Il nome del lago è attestato nel 1296 come Hünz an den Se, nel 1330 come Praxersee, nel 1400come See in Prags, nel 1620 come Pragsersee e nel 1885 come Pragser Wildsee; l’appellativo di wild (“selvaggio”) è pertanto ottocentesco, e forse da ricollegare all’alpinismo che in quel periodo inizia a diventare un fenomeno di massa.[1] Il nome italiano “lago di Braies” è del 1940, mentre nel primo Prontuario del 1923 compare ancora solamente come “Pragser Wildsee”

Turismo

Per raggiungere il lago, si prende lo svincolo per la Val di Braies, tra i paesi di Monguelfo e Villabassa in Alta Pusteria. Dopo aver percorso alcuni chilometri si incontra l’unico bivio, e si prende la strada in direzione del lago. Dopo aver passato i villaggi di Ferrara (Schmieden) e San Vito (St. Veit), si arriva al parcheggio (a pagamento nella stagione turistica), dove si trova un grande albergo-ristorante, l’Hotel Pragser Wildsee legato alla figura pionieristica di Emma Hellenstainer. È possibile effettuare un giro attorno alle rive del lago. Questo percorso è sulla sponda occidentale, piano e largo, mentre sulla sponda orientale è ripido e stretto, con alcune scalinate. Nonostante ciò questa bella passeggiata che porta ai piedi della Croda del Becco, è affrontabile da qualsiasi escursionista. Durante il periodo invernale spesso questi sentieri (soprattutto quello sulla sponda orientale) risultano chiusi, causa pericoli di valanghe. È comunque possibile effettuare un’escursione attorno al lago, dato che la sua superficie risulta ben solidamente ghiacciata.

Leggenda sulle origini del lago

La leggenda vuole che la vallata di Braies fosse abitata da alcuni selvaggi di brutto aspetto che custodivano l’oro presente nelle vicine montagne. Per queste figure l’oro era prezioso per il suo splendore ma li rendeva duri nell’animo. Quando apparvero nella valle alcuni allevatori assieme al loro bestiame, le figure selvagge regalarono loro alcuni oggetti prodotti con il loro oro. Gli allevatori vedendo tale abbondanza d’oro divennero avidi ed iniziarono ad impadronirsi della materia prima, rubandola alla popolazione dei selvaggi. La popolazione dei selvaggi decise di impedire agli allevatori di raggiungere le montagne e fecero sgorgare alcune sorgenti d’acqua, che crearono a valle il lago di Braies, che impediva agli allevatori di poter rubare ulteriormente l’oro ai selvaggi. Secondo la tradizione ladina il nome Sass dla Porta avrebbe origini mitologiche; deriverebbe, infatti, dalla saga del Regno dei Fanes, un antico reame della mitologia ladina che sarebbe esistito nelle attuali vallate dolomitiche in tempi immemorabili. Ogni anno, in una notte di luna piena, i pochi superstiti del popolo dei Fanes, distrutto dall’avidità di un re usurpatore, escono dall’enorme buco naturale scavato nella roccia del monte e percorre in barca il giro del lago di Braies, guidati dalla propria regina e da Lujanta, mitica eroina.

Filmografia

Nell’estate 2010, sulle sponde del lago di Braies, è stata girata la serie televisiva Un passo dal cielo, trasmessa da Rai 1 dal 2011, incentrata sulla vita di Pietro (interpretato da Terence Hill), un comandante di squadra del Corpo forestale della provincia autonoma di Bolzano di San Candido, comune che fa parte del parco naturale Tre Cime in Alta Val Pusteria.[10] Nell’estate del 2012 è stata girata la seconda serie della fiction, la terza serie, ed anche la quarta. Il 28 dicembre 2016 è stata trasmessa su Rai Storia la seconda puntata della serie documentaria Speciali Storia – Ostaggi delle SS, che ricostruisce con attori la vicenda dell’aprile 1945 dei prigionieri del lago di Braies.

Sport

Dal 2012 si tengono delle competizioni di curling sulla superficie ghiacciata del lago durante la stagione invernale.

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Lago di Resia

Il lago di Resia (Reschensee in tedesco) è un lago alpino artificiale situato a 1.498 m s.l.m. nel comune di Curon Venosta in Alto Adige, a nord del vicino lago di San Valentino alla Muta. Con la sua capacità di 120 milioni di metri cubi è il lago più grande della provincia di Bolzano. I tre laghi naturali originari sono attestati nel 1373 come drei Seen auf der Malserhaide e nel 1770 come Rescher See.

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Storia e Cultura

Presso il passo di Resia si trovavano tre laghi naturali: il lago di Resia, il lago di Curon detto anche lago di Mezzo (ted. Grauner See o Mittersee) e il lago di San Valentino alla Muta. La costruzione di una grande diga nel 1950 unificò i primi due precedenti laghi e sommerse l’antico abitato di Curon Venosta che venne ricostruito più a monte. 163 case e 523 ettari di terreno coltivato a frutta furono sommersi. Se ne ricavò il bacino dell’attuale lago, lungo 6 km e largo 1 km nel punto di massima larghezza. L’idea di sfruttare questi tre laghi per la produzione di energia idroelettrica risaliva all’anno 1910, ma solo nel 1920 furono presentate le relative domande per la concessione. Nel 1923 la stessa società che richiese la concessione (Comitato Promotore della Società Elettrica Alto Adige) entrò a far parte del gruppo Montecatini. I lavori iniziarono nel ’39, ma per l’inizio della guerra furono prima rallentati e poi sospesi nel ’43. Nel ’46 nonostante le difficoltà economiche del dopo guerra, e la mancanza di tutte le materie prime necessarie alla continuazione dell’opera, i lavori furono ripresi anche grazie a investimenti svizzeri ed ultimati con l’inaugurazione il 28 agosto 1949. La costruzione della diga accese vive proteste tra gli abitanti del luogo, i quali la interpretarono come un affronto del governo di Roma nei confronti dei sudtirolesi. Questi si recarono dal Papa per scongiurare la realizzazione dell’opera, ma ciò non servì. Le difficoltà più grandi si ebbero per la mancanza delle indispensabili materie prime. Fu infatti importata per la prima volta della glicerina dall’Argentina per poterla usare come esplosivo. Fu inoltre portato il legname dalla Sila ed il cemento con i camion e convogli ferroviari dal nord Italia. Ai lavori parteciparono 7.000 operai, per mille giornate lavorative, con un costo di 25 miliardi di lire. In totale furono scavati 35 chilometri di tunnel sotterranei, ed utilizzati 1,5 milioni di quintali di cemento, 10.000 t di ferro e 800 t d’esplosivo. Ma il costo più elevato fu quello di dover radere al suolo completamente il centro abitato di Curon Venosta, e parzialmente quello di Resia, che vennero ricostruiti in posizioni più elevate. A inizio 2014 i ricercatori dell’EURAC di Bolzano hanno condotto uno studio di fattibilità per valutare il potenziale di “isole fotovoltaiche galleggianti” sul lago. Secondo lo studio la superficie di un lago in alta montagna potrebbe essere sfruttata per produrre energia.

Il campanile

La cima del vecchio campanile di Curon (Graun) emerge dalle acque ed è tuttora visibile; la struttura risale al 1357, mentre la chiesa che vi era annessa era stata costruita nel 1832-38. In inverno, quando il lago gela, il campanile è raggiungibile a piedi. Una leggenda racconta che in alcune giornate d’inverno si sentano ancora suonare le campane (che invece furono rimosse dal campanile il 18 luglio 1950, prima della formazione del lago). La chiesa di cui fa parte il campanile fu costruita verso la metà del Trecento. Il 9 luglio 2009 sono stati conclusi dei lavori di restauro del campanile romanico; il livello dell’acqua del lago era stato precedentemente (a maggio) leggermente abbassato per permettere i lavori di risanamento sulla statica della struttura, oltre che sulle crepe presenti negli angoli delle facciate nord e nord-est, causate con tutta probabilità dalle infiltrazioni dell’acqua nelle piccole fessure e dalle successive gelate invernali. Anche il tetto è stato restaurato, dopo che l’ultimo intervento, come risulta dalla data impressa sulle tegole, risaliva al 1899. La spesa complessiva del restauro del 2009 si aggira sui 130.000 €.

Sport

Da dicembre a marzo sul lago ghiacciato si pratica lo sci da fondo, il pattinaggio e, grazie a venti forti e frequenti, lo snowkiting e la slitta a vela.

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Lago Omodeo

Il lago Omodeo è un lago artificiale della Sardegna. Si trova in provincia di Oristano, nella subregione storica del Barigadu. È formato dallo sbarramento del fiume Tirso tramite la diga di Santa Chiara prima e dalla più recente diga Eleonora d’Arborea, situate rispettivamente in territorio di Ula Tirso e Busachi. Il bacino idrico è intitolato ad Angelo Omodeo, l’ingegnere che curò la progettazione della prima diga, che rimane parzialmente sommersa dalle acque del nuovo invaso. Il territorio del lago Omodeo è inserito nell’elenco dei siti di interesse comunitario per via della sua rilevante importanza dal punto di vista paesaggistico ed ambientale.

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Flora e Fauna

Dal punto di vista floristico-vegetazionale le sponde del lago Omodeo sono caratterizzate principalmente da formazioni boschive di leccio (Quercus ilex) e dalla macchia mediterranea, alle quali si sostituisce la roverella (Quercus pubescens) nelle stazioni più fresche. Sono inoltre presenti specie caratteristiche della vegetazione riparia come il pioppo bianco (Populus alba), il salice fragile (Salix fragilis), l’olmo campestre (Ulmus minor), il frassino (Fraxinus ornus), il tamericio (Tamarix gallica e Tamarix africana) e l’alloro (Laurus nobilis). La fauna è maggiormente rappresentata dagli uccelli, sia stanziali sia migratori. Le specie più comuni sono la ghiandaia marina (Coracias garrulus), l’occhione comune (Burhinus oedicnemus), il falco pellegrino (Falco peregrinus), il falco pescatore (Pandion haliaetus) ed il piro piro piccolo (Actitis hypoleucos). Tra gli uccelli acquatici sono presenti il codone comune (Anas acuta), il moriglione (Aythya ferina), il mestolone comune (Anas clypeata), l’alzavola (Anas crecca), il fischione (Anas penelope), la folaga (Fulica atra), la gallinella d’acqua (Gallinula chloropus), il germano reale (Anas platyrhynchos), la canapiglia (Anas strepera), l’oca selvatica (Anser anser), la garzetta (Egretta garzetta), l’airone bianco (Egretta alba) e l’airone cenerino (Ardea cinerea). Gli anfibi ed i rettili più comuni sono il discoglosso sardo (Discoglossus sardus), il tarantolino (Phyllodactylus europaeus), la testuggine palustre (Emys orbicularis) e la tartaruga di terra (Testudo hermanni). Tra i pesci va segnalata la presenza dell’agone (Alosa agone) formatesi in una decina d’anni a causa dello sbarramento del fiume Tirso, dalle cheppie rimaste intrappolate.

Storia e Cultura

Il primo bacino artificiale fu realizzato con la costruzione della diga di Santa Chiara, presso Ula Tirso, che fu completata nel 1924, ed inaugurata il 28 aprile dello stesso anno alla presenza del re Vittorio Emanuele III, originando il più grande lago artificiale d’Europa, che aveva una capacità massima di 403 milioni di metri cubi d’acqua. I lavori per la sua costruzione facevano parte di un più ampio progetto, che comprendeva anche la bonifica della pianura di Oristano. Vi furono impiegati 16.000 operai che realizzarono il progetto redatto dall’ingegnere Angelo Omodeo, il quale partecipò anche alla costruzione delle grandi dighe sul Nilo. La costruzione fu completata in cinque anni, sotto la direzione dell’ingegnere Giulio Dolcetta. Lungo più di 22 km, il bacino fu realizzato al fine di regolamentare le piene del fiume, produrre energia elettrica e per l’irrigazione della pianura del Campidano di Oristano. La creazione del bacino artificiale determinò inoltre la sommersione di alcuni siti archeologici (nuraghi, tombe di giganti, e l’insediamento prenuragico di Serra Linta) e del piccolo villaggio di Zuri, che venne riedificato su un’altura poco distante dal lago. L’antica chiesa del villaggio, dedicata a san Pietro Apostolo, venne smontata concio per concio e ricostruita nell’attuale posizione. Il 2 febbraio 1941 la diga fu attaccata con dei siluri da alcuni aerei decollati dalla portaerei britannica HMS Ark Royal. Nel 1997 fu inaugurata la nuova diga, intitolata allo storico personaggio Eleonora d’Arborea. Lo sbarramento è alto 100 metri e lungo 582 metri. Il volume totale dell’invaso è pari a 792 milioni di metri cubi d’acqua, coprendo una superficie di 29,370 km².

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