Tenya Fishing

Questa tecnica non fa altro che abbinare un esca fresca ad un artificiale, infatti dall’avvento della pesca con gli artificiali, soprattutto del vertical jigging e di tutte le sue varianti, c’è la tendenza a voler tornare verso la tecnica che sta all’origine della pesca. Si nota che i pesci, anche i grossi predatori di fondo, una volta insidiati, in determinate zone, utilizzando per un periodo di tempo gli stessi artificiali finiscono per perdere interesse per i nostri ferri, quindi si cerca di invitarli ad attaccare gli artificiali abbinando ad essi l’esca fresca. Proprio per questa ragione stanno avendo grande successo tecniche come il tenya, che si pratica principalmente utilizzando gamberi freschi, l’inchiku con l’aggiunta di striscie di calamaro sui piccoli assist, e anche il “live kab” che non è altro che una variante del kabura al quale si aggiunge un polpetto, facendolo lavorare in prossimità del fondo. Ma non è certo una grande invenzione come qualcuno vorrebbe far credere.

Esca

Anche nella pesca a tenya, come nel bolentino, la scelta dell’esca condiziona tutto: il pesce che si può prendere, la scelta dell’area da ricercare per effettuare la battuta di pesca, il montaggio dell’artificiale, il filo per la realizzazione del finalino, quello dello spezzone immediatamente superiore all’esca e, a volte, anche quello per la lenza madre. Le esche di gran lunga più usate sono i gamberi e i cefalopodi. Siccome è molto importante che l’esca tenga bene agli ami (soprattutto nel caso di strofinamento su fondali rocciosi). Il gambero può essere innescato intero (con la corazza) oppure rassodato da filo elastico. Se si usa un tenya con un grande amo di misura “barra zero” infileremo il crostaceo a risalire partendo dalla coda e pianteremo poi il secondo amo (quello più piccolo, montato sul cordino) nei pressi del carapace. Sempre nell’ottica di preferire una materia prima d’innesco più corposa a un piccolo calamaretto intero può essere preferito il cappellotto, cefalopode che a parità di dimensioni è nettamente più coriaceo). Ricordiamoci che un boccone un po’ più resistente avrà anche la possibilità di pescare più a lungo su quei fondali dove abbondano gli sciarrani e le donzelle, piccoli pesci che possono mordere un’esca ma difficilmente la rovinano se è adeguata allo scopo.

Prede

Le prede possono variare: gallinell, tracine, pagelli, scorfani, pagri, gronghi, murene, sciarrani e più raramente nei confronti di cernie, pesci San Pietro, dentici, tanute, rombi e perfino polpi anche se questa tecnica non è propriamente rivolta a loro.

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Beach Ledgering

Il beach ledgering, nato principalmente come una particolare specialità del surf casting, in questi ultimi anni ha trovato una sua precisa identità, arrivando a creare un proprio stile di pesca, attrezzi e tecniche diverse da quelle che vengono comunemente impiegate nel surf casting. Le differenze non sono comunque abissali e molti appassionati di surf casting pescano regolarmente anche con queste tecniche, soprattutto quando il mare è calmo e non c’è l’indispensabile onda come meta per il lancio.
Il beach ledgering infatti viene praticato con attrezzature leggere e mare calmo o nella fase finale della scaduta e permette di fare catture già nel sottoriva, anche se le prede che abitualmente abbocano sono di taglia minore e quasi mai particolarmente prestigiose. E’ comunque una tecnica divertente e alla portata di tutti, non richiede una particolare preparazione atletica in quanto la distanza di lancio, seppur importante, non è fondamentale per il risultato della battuta di pesca. Come si intuisce dal nome anglosassone, il beach ledgering viene praticato dalla spiaggia e a differenza del surf casting non è così selettivo sul tipo di spiaggia e vanno bene più o meno tutte, da quelle con fondali bassi a quelle che degradano decisamente, da quelle con fondale omogeneo a sabbia fine a quelle con fondale misto o ghiaioso. Sarà la spiaggia, se ben interpretata, a dirci se è valida per questa tecnica o meno contando il numero e la qualità delle catture. A voler comunque dettare un profilo di spiaggia ideale, dobbiamo pensare ad una spiaggia che presenti un fondale degradante in maniera decisa, esposta ai venti più potenti, così da presentare canaloni, avvallamenti e rocce isolate. Se poi sull’arenile sfocia un fiumiciattolo o una foce più grande, il suo valore aumenta e promette belle catture. Vanno benissimo anche le spiagge a ridosso o comprese tra due promontori di roccia e anche quelle delle insenature più grandi. Valgono sempre il viaggio quelle con fondale misto a roccia che, comunque, non sia prevalente, altrimenti passeremo la maggior parte del tempo a sostituire ami e terminali a causa dei continui incagli.
Riguardo al periodo dell’anno più indicato per la pratica del beach ledgering, esso parte dalla primavera inoltrata fino alla fine dell’autunno-inizio inverno, a seconda delle condizioni meteo che si hanno in quel periodo. Il momento migliore è alla fine della scaduta, quando ormai il vento è caduto del tutto ma il mare continua con la sua inerzia a muovere le acque e il sedimento dal fondo. Anche con il mare calmo si può praticare questa tecnica con la possibilità di fare qualche bella cattura, soprattutto nel tardo autunno. Il beach ledgering si pratica indifferentemente sia di giorno che di notte; in alcune spiagge può esserci una consistente differenza in termini di catture tra i due periodi e vale sempre la pena provare nelle diverse ore del giorno per verificare quali sono quelle più catturanti, come al solito rapportate alle fasi di marea e a quelle lunari.

Attrezzatura

Anche se nel beach ledgering non sono richiesti lanci al limite, ciò non significa che l’attrezzatura deve essere improvvisata o peggio, “riciclata” da altre tecniche (leggi bolognese). La canna adatta al beach ledgering mantiene quelle caratteristiche del surf che permettano comunque di lanciare con facilità e senza eccessive forzature ma che nel contempo conservi sensibilità e leggerezza. Dovremo quindi individuare, tra le tante appositamente disegnate per questa specialità un paio di canne che ci permettano di lanciare due categorie di zavorre: quelle leggere (dai 10 ai 40 gr) e quelle medie (dai 40 ai 70/80 gr.), avere una spiccata azione di punta e una vetta assolutamente sensibile in modo da avere una visione più chiara possibile di cosa sta avvenendo alla nostra esca. Ricordiamo che raramente dovremo lavorare “bestioni”, ma è più ragionevole pensare a prede che vanno dai 150 gr. al kilogrammo di peso.
Come lunghezza, esse andranno dai 3/3,5 metri fino ai 4,5/5 metri e di tipo telescopico per facilitarne il trasporto. Altra caratteristica utile è la possibilità di avere la vetta intercambiabile che ci permette di utilizzare quella più adeguata alle condizioni meteo marine o alla tecnica che stiamo impiegando.
Per il mulinello, che comunque sarà equilibrato alla canna, sceglieremo senz’altro i modelli più piccoli di serie pensate e studiate per il surf, con caratteristiche di robustezza e affidabilità che le caratterizzano. Validissimi quelli con più bobine di serie che ci permettono di portare con noi diversi diametri già imbobinati pronti per essere impiegati. Visti i bassi diametri utilizzati, è importante che il disegno della bobina sia adatto a cedere il filo senza inutili attriti e con facilità, in modo da poter ottenere la distanza maggiore possibile. Per i monofili, a differenza del surf, raramente utilizzeremo diametri superiori allo Ø 0,45/0,50 ma la fascia di maggior impiego va dallo Ø 0,18/0,20 allo Ø 0,30/0,35. Come al solito è consigliabile la buona qualità e il miglior carico di rottura possibile rapportato al diametro utilizzato, che ci darà una maggior sicurezza con una preda “in sovrappeso”.
I piombi saranno praticamente gli stessi del surf, nelle misure più leggere, e raramente superano i 100 gr. Nel Beach Ledgering vengono impiegati di solito i modelli più affusolati e filanti in quanto dato le condizioni meteo non proibitive, si predilige la gittata alla tenuta sul fondo.
Gli ami sono abbastanza normali e indicati per le esche che andremo ad utilizzare con misure che potranno andare dal n. 10 al n. 4-5 per le esche più voluminose.
Tra gli accessori indispensabili, sicuramente un tripode a due – tre posti ci permette di posizionare le nostre canne al meglio ed averle costantemente sotto controllo, così come un tavolinetto per la preparazione degli inneschi.
Le minuterie sono le classiche: piccoli galleggianti, girelle, perline, micro agganci, ecc.

Le prede

Pescando comunque dalla spiaggia con il mare calmo o quasi non aspettiamoci grosse prede, la pezzatura di questa tecnica va dai 100/200 gr. al kilogrammo di peso; ricordiamo comunque che devono essere rispettate le misure minime di legge e le prede che non le raggiungono devono essere slamate con delicatezza e rimesse in acqua. La preda più comune del beach ledgering è senz’altro la mormora, assidua frequentatrice di ogni tipo di arenile, segue il sarago, di solito fasciato e testa nera che popolano soprattutto le spiagge che presentano zone di roccia e alghe o le spiagge delle insenature più o meno grandi. Rimanendo nel campo dei grufolatori, citiamo l’ombrina, ritornata a popolare le nostre coste con più regolarità, le varie triglie, i classici pesci di sabbia (rombi, sogliole e razze), prede meno frequenti come cefali, boghe, occhiate, tordi, ecc.
La Mormora è la preda più comune nel beach ledgering. Un discorso a parte merita l’orata che con questa tecnica può essere insidiata con buone probabilità di fare buone catture; infatti quest’ultima si alimenta frequentemente con mare calmo e in acque non molto alte, su spiagge sia di sola sabbia e soprattutto, su quelle con fondale misto dove trova più facilmente i molluschi di cui è ghiotta (murici e cozze, prevalentemente).
Pescando di notte, entreranno nel carniere con una costante presenza i gronghi, murene e scorfani. Passando ai predatori, sicuramente meno presenti ed assidui che nel surf casting, la spigola è la più presente, mentre leccie, serra e piccole ricciole sono prede meno frequenti e richiedono tecniche più specifiche ed esche più selettive come l’esca viva o inneschi più corposi.

 

Le Esche

Le esche più impiegate in questa tecnica rimangono gli anellidi, dalla pregiata arenicola, al bibi e al verme di rimini, bocconi ideali per l’orata di taglia e per qualche bel saragone. L’innesco più efficace per gli anellidi sottili è di montarli interi con l’apposito ago, mentre il coreano può essere innescato per la testa e lasciando la coda libera di agitarsi per attirare ancor di più la preda. Il verme di rimini invece viene innescato a pezzi di due o tre centimetri, in modo da liberare al massimo il suo “profumo”. Anche i bibi vanno innescati a pezzi se di grosse dimensioni, ricordandosi di fare le legature nella zona del taglio per non svuotarlo, e di innescarlo con l’aiuto di un ago sottile.
Ottimi e redditizi anche i molluschi tipici degli arenili come il cannolicchio e la vongola e quelli dei fondali misti come il murice. Questi molluschi possono essere pescati da noi, con maschera e pinne, oppure acquistati nei mercati ittici. Si potranno conservare vivi in un secchio e sgusciarli al momento dell’impiego. Tra crostacei, danno buoni risultati il gambero, quello grigio pescato con il retino e tenuto vivo con l’aiuto di un secchio e di un ossigenatore, il paguro e il granchio, pescati a mano con l’ausilio delle solite maschera e pinne. Il paguro è un’esca validissima per questa tecnica ed in alcune zone d’Italia è largamente impiagata nella pesca alle mormore. L’innesco ottimale si fa liberando il crostaceo dalla conchiglia con delicatezza ed innescandolo, ancora vivo, nella parte morbida e carnosa del corpo.
Naturalmente possono essere impiegati, sia interi che a trance, esche più “surf” come la sardina, il cefalo, il totano e la seppia, comunque a bocconi meno voluminosi per consentire un minimo di vivacità anche con mare calmo. Ottimi risultati si potranno avere con l’impiego delle seppioline (carissime!!) innescate intere e “alleggerite” con un pezzetto di polistirolo inserito nel piccolo mantello. L’innesco con il pesciolino vivo è scarsamente impiegato nel beach ledgering, anche se, nei mesi di settembre, ottobre e novembre, può dare grandi soddisfazioni innescare piccoli cefaletti vivi per insidiare un po’ tutti i predatori, spigole e leccie in testa.

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Pesca con inchiku

La pesca a inchiku ha rivoluzionato radicalmente il concetto di artificiale, anni fa sulle riviste italiane e internazionali ( soprattutto francesi) si “spingeva” molto questa esca decantandone le doti di grande catturabilità, in effetti anche se oggi è praticato con successo soltanto in alcune parti d’Italia, è un artificiale che si presta davvero a stupire e dare un sacco di catture inaspettate in ogni periodo dell’anno. La canna da inchiku: mediamente lunghe intorno a 1.90 m è caratterizzata da una conicità non esasperata tra sezione del butt (parte terminale del fusto verso il manico) ed il tip (cimino) e che pertanto ha una azione abbastanza parabolica-media di tutto il blank, se ne trovano parecchie in commercio e a tutti i prezzi. Rispetto alle tradizionali da VJ,  queste ultime sono canne più leggere, decisamente più sottili, sensibili e dotate comunque di una buona dose di potenza distribuita su una curva più accentuata. Sotto sforzo assume la tipica curvatura che parte dal primo terzo a seguire verso il manico a seconda del carico , come è naturale in questa tipologia di attrezzi ma rimane sempre abbastanza reattiva e pronta con una elasticità marcata che si traduce in un ottima sensibilità sul jig, pur con un nerbo che le permette di far lavorare adeguatamente le esche; non dimentichiamo che si sta  parlando di artificiali che proprio nello “slow retrive” (recupero lento) hanno il loro punto di forza e quindi la canna deve poter assecondare al meglio questo concetto di base per muovere adeguatamente le esche e mantenere il contatto diretto in ogni istante dell’azione di pesca. Il mulinello è a tamburo fisso o rotante, anche questo non è vincolante e va scelto in base alle proprie comodità o solo per il fatto che già se ne possiede uno , preferibili taglie 4000/5000 , anche se si può arrivare anche ad attrezzi decisamente più potenti quando si vuole insidiare cernie di fondale o grossi dentici. Trecciato PE 1.5 /2.0 e leader dallo 0.30/0.35 mm per acque basse e trasparenti  fino a 0.65 mm se si va a cercare qualcosa di importante, qui magari il trecciato salirà certamente di diametro. Giunzione fra trecciato e fluorocarbon : il classico PR Knot va più che bene, ma ci si può sbizzarrire a piacere , io consiglio uno snap prima dell’artificiale che ci consente il cambio rapido del jig per poter variare colori e pesi a seconda degli spot che stiamo girando. Il jig vero e proprio è quello che ci farà o meno cambiare la situazione, devo dire che mi sono impegnato molto a ricercare varie soluzioni cromatiche , testandole personalmente o facendole testare da amici e clienti, ed è grazie a tutti Voi che oggi il bagaglio dell’esperienza è cresciuto parecchio e sento di potermi sbilanciare a consigliare qualche colorazione che, più di altre, ha dato notevoli risultati un po’ in tutto il Mediterraneo. I colori che hanno dato risultati a dir poco straordinari , soprattutto quando usati da neofiti che si avvicinavano incuriositi a questa tecnica senza avere una vera e propria esperienza in merito, certamente però essendo dei validi ed esperti pescatori, sono stati ad es : Oro/Rosso, Acqua Mediterranea, Giallo/Verde , Rosa , Tiger . Un ruolo importante nell’inchiku lo l’ha la montatura , il polipetto , meglio se maggiorato nelle dimensioni, deve essere morbido e flessuoso ( evitare come la peste quegli octopus duri e con i tentacoli troncati della stessa sezione per tutta la lunghezza, il tentacolo deve essere molto morbido e diminuire di diametro verso il fondo per conferire un movimento naturale all’esca ), gli ami devono essere molto robusti ma al contempo leggeri, la treccia ben dimensionata e morbida e una bella e fosforescente perla che , oltre alla visibilità, arricchirà il tutto con il suo effetto “rattling” battendo sul paracolpi finale del piombo , non occorre puntualizzare che la lunghezza dell’assist dovrà proprio rispettare questa distanza! Per quel che riguarda il peso, un amico molto esperto della tecnica mi ha consigliato sempre di utilizzare pesi maggiori di quello che avrei scelto normalmente, il motivo è semplice : l’inchiku deve scendere veloce verso il fondo , appena raggiunto il fondo, senza indugio, dobbiamo fare 2/3 giri rapidi di manovella e far rimbalzare il jig verso l’alto ; state sicuri che se un pesce lo avrà seguito nella discesa, ma non avrà avuto la decisione di attaccarlo, lo farà con ogni probabilità in quell’occasione; se al contrario lo lasciamo fermo e inerte sul fondo , il pesce perderà interesse all’esca e anche se poi inizieremo la danza se ne sarà andato altrove…questo l’ho documentato personalmente applicando una tele camerina a un paio di metri sopra l’artificiale.

Tecnica

L’inchiku può essere manovrato in parecchi modi, ognuno di questi si è rivelato efficace , per cui sarà utile cercare di conoscerli tutti e variare i movimenti durante la pescata, ricordiamoci sempre che la monotonia è nemica delle catture.

  • Come un jig tradizionale, si cala sul fondo e poi si recupera con il mulinello a velocità variabile e contemporaneamente pompando con la canna , l’oscillazione del polipetto sarà maggiore e l’azione che ne deriva sarà vivace e accattivante.

 

  • Come un kabura : recupero lento cadenzando con la canna rivolta verso il basso a ore 5 e alzandola lentamente sino a ore 2 per poi ridiscendere, senza mai smettere di recuperare, alzandolo fino a circa 12/15 m dal fondo per poi farlo ripiombare giù ripetendo l’azione.

 

  • Movimento a dente di sega : arrivati sul fondo, tre giri veloci di mulinello per far rimbalzare l’esca e poi abbassando velocemente a ore 5 recuperiamo con il mulinello per poi riscendere ecc , fino a far salire l’artificiale dal fondo tra i 5 e i 15 mt , poi di nuovo giù.

 

  • Scandagliamo il fondo : si tratta di mantenere il jig in prossimità del fondo, sia esso di fango a fianco a scogli etti oppure su una cigliata , lasciamo che il piombo batta facendo rumore ed attraendo la curiosità dei pesci e poi alzando e abbassando la canna, ora lenti ora a scatti brevi lo facciamo ricadere battendo sul fondo, la probabilità di incaglio non è moltissima perché, se noi sappiamo mantenere una leggera tensione in caduta controllando l’esca, il polipetto rimarrà penzolante tendente alla posizione alta, protetto dal piombo che appena tocca verrà prontamente rialzato.

Consigli

ritengo sia molto importante avere una piccola selezione di colori diversi  scegliendoli  , se non si hanno già informazione di livree ultra efficaci e testate in zona, fra i  colori consigliati prima, questo perché con quel ventaglio copriamo un po’ tutte le condizioni di acqua e visibilità ; il Tiger è glow ed è uno dei colori più richiesti ed efficaci in qualsiasi condizione, pur non avendo nessun effetto specchio essendo senza olografico cattura maledettamente tanto e non solo pesci aggressivi come dentici e cernie ma anche pagelli, san pietro, scorfani ecc ; il giallo/verde ha fatto stragi di dentici in varie parti della penisola e credo si debba avere necessariamente in cassetta; Oro/Rosso…nato per caso in alternativa ai classico dorati con bordino rosso vivo, avevo fatto un artificiale rosso fluo con olografico oro totale, dapprima poco richiesto è capitato di farlo avere ad un amico che lo ha provato in Corsica in un viaggio di piacere e lì ha davvero fatto la differenza: dentici di tutte le taglie compreso un dinosauro da record; Acqua Mediterranea: nato dapprima con olografico oro chiaro , forse per questioni estetiche, poi virato in olografico argento dopo numerose richieste da parte vostra e oramai consolidato come un vero killer.

 

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Kabura

Questa tecnica di pesca prende il nome dal tipo di artificiale. I Kabura sono artificiali dalla forma tozza, molti simili ad una seppiolina, sotto la quale è riposto un gonnellino in materiale gommoso molto morbido in mezzo alla quale sono posizionati due ami (assist hook) legati con del multifibre. Questi artificiali sono indicati per insidiare tutte le specie ittiche che vivono sul fondo o in prossimità di questo, devono essere manovrati piuttosto lentamente facendoli strisciare in terra (in modo tale da far alzare delle nuvolette di sabbia o fango) e facendoli alzare per pochi metri con dei colpetti fatti in verticale con l’ausilio della canna, tutto ciò per attirare l’attenzione dei nostri amici pinnuti,  che attaccheranno non per fame ma per predominio sul territorio. Per la buona resa di questa tecnica si ha bisogno di una attrezzatura specifica, infatti la normale canna da vertical jigging risulterà troppo rigida e troppo dura, le canne da kabura della lunghezza che varia dal metro e ottanta ai due metri e venti, hanno una vetta cava molto sottile per permettere di percepire al meglio le tocche dei pesci. Ultimamente si utilizzano non più mulinelli a bobina fissa, ma piccoli rotanti (tipo quelli ca casting), caricati con multifibra molto sottile quasi sempre multicolor, per avere sempre sotto controllo la profondità di pesca, alla fine legheremo circa cinque metri di fluoro carbon dello 025 030 al quale legheremo l’artificiale, una attrezzatura del genere risulterà molto leggera ed equilibrata, il che ci permetterà di pescare per ore senza sentire affaticamento. In fase di pesca si avvertiranno dei colpi sulla vetta, questo starà a significare che il pesce sta attaccando la nostra esca ma ancora non la ha mangiata del tutto, per far cadere nell’inganno il pesce bisognerà continuare il recupero fino a quando la nostra canna non sarà completamente piegata, a questo punto basterà una leggera ferrata per piantare meglio gli ami sull’apparato boccale del pesce ed inizierà il divertimento.

download.jpgNelle nostre acque questa tecnica sta avendo un veloce incremento, anche dovuta al fatto che effettivamente dà ottimi risultati, soprattutto durante l’autunno-inverno, stagione durante la quale i grufolatori tipo pagari, pagri, tanute si avvicinano alla costa. La tecnica di pesca non è così semplice come può sembrare, fondamentale qui (come nel vertical jigging) è trovare i pesci, per questo ci dovremo aiutare con lo scandaglio, una volta individuato uno scoglio o una risalitya con marcature di pesce, o semplicemente un banco di pesci in prossimità del fondo, ci si ferma con la barca e si calano le esche, all’artificiale si può anche abbinare un’esca naturale, quasi sempre mazzancolla, che verà innescata sui due ami del Kabura, a questo punto si cala la lenza fino a toccare il fondo, aiutandoci col multifibra colorato, cercheremo sempre di lavorare in prossimità del fondo alzando la nostra esca con un movimento lento che faccia compiere all’artificiale un nuoto che possa assomigliare a una seppiolina in difficoltà, se il fondo è fangoso quando l’artificiale tocca il fondo produrrà una nuvoletta di fango che sicuramente attirerà i pesci lì vicino, le tocche si sentiranno molto chiaramente a questo punto conviene lasciare il tempo al pesce di ingoiare bene l’esca e poi ferrare. Talvolta i pesci non mangiano sul fondo, ma staccati anche di diversi metri, starà all’abilità del pescato scandagliare le varie profondità ed individuare quella giusta a cui si prenderanno i pesci.

Consigli

Questa tecnica, sembra semplice, però va ricordato che va praticata comunque molto bene, un movimento svogliato, magari troppo frenetico o poco accattivante da parte del pescatore, ci porterà a non avere neanche un’abboccata, anche perchè va ricordato che peschiamo con un artificiale e il pesce bisogna “convincerlo” quindi bisogna provare tutte le possibilità, cambiare magari le esche, i movimenti, la profondità, il luogo di pesca finchè non sentiremo le prime abboccate, senza magari farsi scoraggiare da un’ora di pesca senza abboccate.

 

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Tataki e Sasoi fishing

Tataki fishing è una tecnica giapponese per la pesca ai calamari dalla barca ma viene praticata con successo anche dalle scogliere e dai moli. Una vera novità per la pesca ai calamari e alle seppie con grandi catture anche di giorno.Come dimostrato dai giapponesi con la tecnica del “Tataki fishing” i calamari non si catturano solo di notte. La tecnica dei Tataki che è un vero e proprio Jigging al calamaro, molto divertente da praticare, necessita di una canna tra i 2,40 e 2,70 metri , apposita  per la tecnica Tataki , e deve avere un’azione morbida e un cimino abbastanza sensibile da poter avvertire la bocca del calamaro. Il mulinello sara’ di taglia compresa tra 4000/5000 di buona fattura, con imbobinato del filo trecciato multifibra ( Spectra Dyneema Braid) di diametro 0,7/0,20,  a cui legheremo con un nodo tipo ”Albright Knot”, o ”Tony Pena”  uno spezzone di circa  10 mt di monofilo sempre di buona marca, dello 0,30/0,35. Il terminale sara’ costruito in fluorocarbon, che oltre ad avere la peculirita‘  di essere invisibile, è  più rigido, rispetto ai monofili normali, dandoci così il vantaggio di un movimento più naturale delle esche quando si esercitano i leggeri colpetti di canna tipici di questa tecnica.

Montatura

La nostra montatura sara’ in fluorocarbon del diametro dello 0,28/0,35,  con una lunghezza di circa 1,5- 2 mt, lunghezza che varia a seconda le esche che si vogliono impiegare,  di solito dalle 2 alle 5 esche, dove andremo ad eseguire  delle asole con un nodo Dropper Loop, a cui inseriremo i ”Tataki Snap” (moschettoni per Tataki). Le asole saranno ad uguale distanza , in modo da  collegare le nostre esche tataki, le misure andranno tra 1.6 a 2.0.Il piombo finale sarà unito al terminale con un moschettone con girella, il peso del piombo deve essere scelto in base alla profondita’ e alle correnti presenti in mare, ricordo che i calamari non amano le forti correnti. Ci sono in commercio diverse alternative per collegare i tataki al terminale,  molti tataki infati, sono predisposti per alloggiare un  ”Tataki Snap” (moschettoni per Tataki) particolare.  Questi tataki in testa invece di avere la girellina di aggancio tradizionale, presentano due fori con scanalatura, alloggio predisposto per questo particolare ”attacco”, questo a sua volta puo’ essere formato da uno snodo con tecnosfera, che andra blocato sul terminale in fluorocarbon con 2 nodi di stopper. In Giappone, le tecniche di pesca di base sono “TATAKI” e “SASOI” che si differenziano sul metodo di pesca del pesce.

Metodo Tataki

Il “TATAKI”, tecnica ormai conosciuta in tutta europa , è un metodo di pesca, che viene praticata , scuotendo la canna  di continuo, cosa che eccita i cefalopodi e li invoglia ad avvicinarsi alle nostre esche. Tuttavia, il cefalopode non attaccara’ le nostre esche durante queste azioni di movimento,  ma solo al momento di una breve pausa di “STOP” . Quando si e’ in “STOP”, ci sara’ la possibilità, di un attacco del Calamaro o seppia. Questo metodo di pesca utilizza la tecnica, chiamata “CHOKBULA” e “CHOKKETSU”.

Metodo Sasoi

Il metodo “SASOI”, si basa sul movimento della canna con leggeri colpi di sù e giù, con un attesa di circa 10 secondi, prima di ripetere nuovamente il movimento, attesa che serve per dare il tempo alle esche di ritornare in posizione, poi ci sara’ lo “STOP” momento in cui le esche possono essere attaccate. La velocità del movimento puo’ variare in base alla forza impressa alla canna, bisogna provare varie azioni se i nostri amici calamari e seppie sono svogliati. Queste azioni piu’ veloci, verranno eseguite in serie con intervalli, di “STOP”. momento di pausa in cui se questa azione avra’ funzionato avremo l’attacco. Questo metodo di pesca utilizza la tecnica, chiamata “BULANKO-RIG”. La montatura si costruisce sempre in fluorocarbon con 2 o 5 braccioli di 10/25 centimetri,  distanziati di 80 cmm al  1.20 mt l’uno dall’altro  a cui veranno attaccate le esche, (sqid jig , oppai sutte, toto sutte) mentre il piombo si pone in fondo. Le esche per il tataki sono dei piccoli gamberi e pesciolini molto ben fatti che variano da cm. 3,5 ai cm. 7,0 e possono avere 1 o 2 cestelli di aghi, i colori sono sempre molto belli e brillanti. I maggiori produttori sono Yo-Zuri, Yamashita, Misaki. La tecnologia di queste esche è a dir poco strabiliante, riflettono gli UV ( Keimura), mantengono un calore più elevato (Tactywarm) e disolito hanno un peso interno e non esterno come le tradizionali totanare. Le colorazioni blu e verde sono i colori migliori da utilizzare di giorno, mentre le esche con tonalita’ rosa e arancio rosso  sono i migliori nel pomeriggio e al tramonto. Le dimensioni come già detto, vanno da cm. 3,5 ai cm. 7,0, nella scelta non esagerate con le misure,  per i calamari non vale il motto ”esca grossa pesce grosso” anzi molte volte funzionano di più le misure piu’ piccole, il tutto dipende dai calamari che molte volte sono timidi ad abboccare, ed un esca piu’ piccola li stimolera’ ulteriormente, comunque e’ sempre bene avere piu’ di una paratura gia’ pronta , per fare tutte le prove del caso.

L’azione di pesca

L’azione di pesca si svolgera’ tra i 20 e i 50 metri di profondità, si lascerà affondare un po’ le nostre esche, e se ci sono i calamaretti, saranno  attratti andando molto vicino alla superficie per inseguire i nostri Tataki. Mentre per insidiare i calamari più grandi bisogna andare più in profondità. Bisogna far fare all’esca un paio di scatti brevi per ottenere l’attenzione dei calamari nelle vicinanze per poi fermarsi. Se si pesca sotto le luci brillanti sara’ possibile  vedere i calamari avvicinarsi alle esche.

Consigli

  • Se un calamaro arriva velocemente verso le nostre esche dopo gli scatti di canna, significa che è attratto dalla colorazione e dal movimento delle nostre esche e nel momento di pausa , molto probabilmente si avvinghierà ad essa.
    Tenetevi pronti! Non appena si vede il calamaro afferrare l’esca si deve ferrare per allamarlo e poi con un costante recupero, portare il calamaro al guadino! Non lasciare allentare la lenza…. altrimenti si rischia di perdere il calamaro! Si consiglia di utilizzare il guadino perché i calamari sono spesso allamati da un solo tentacolo molto sottile e non appena si tenta di farli uscire dall’acqua cadono dalla totanara.

 

  • Con calamari di grandi dimensioni, a volte bisogna chinarsi e raccoglierli, afferrandoli dietro la testa con la mano. Questo sembra funzionare bene ma attenzione a non farvi mordere e a non farvi inchiostrare!
    Sperando che espellerà il suo inchiostro nero in acqua è necessario essere molto attenti a gestire il calamaro perché la loro fornitura di inchiostro sembra essere infinita!

 

  • Se il calamaro non è attratto dalle esche sarà più difficile catturarli e si dovrà lavorare un po’ di più! Bisognerà dare all’esca un paio di scatti brevi (come sopra) e quindi recuperare lo squid jig molto lentamente. Se un calamaro si avvicina lentamente all’esca, è possibile provare i seguenti movimenti: Lasciate che gli squid jig affondino lentamente fino a quando il calamaro lo afferra. Dare agli squid jig dei colpetti in modo da ottenere uno scatto breve e mantenere un recupero lento.

 

  • Se il calamaro non è abbastanza eccitato è possibile farli eccitare tramite un veloce e irregolare recupero. Se si riesce ad ottenere l’attenzione del calamaro,  in modo da farlo avvicinare molto velocemente alle nostre esche .  Le probabilità di un hook-up spesso migliorano. A volte il movimento a scatti può anche spaventare i calamari, e quindi si dovrebbe studiare il calamaro con attenzione per vedere come reagisce. Spesso il calamaro seguirà l’esca fino all’ultimo momento mentre si sta per sollevare le esche dall’acqua. Se un gruppo di calamari seguirà i vostri artificiali, allora le vostre probabilità saranno superiori, perché la concorrenza extra può incoraggiare il calamaro ad afferrare le esche.

 

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Light rock fishing

Il light rock fishing nasce originariamente in Giappone e di recente, è stata importata anche nel nostro paese. In questa tecnica si punta esclusivamente alla cattura di piccoli predatori con canne leggere, mulinelli ridotti ed esche siliconiche di piccole dimensioni. Lo si può praticare tutto l’anno, di giorno e di notte, sia dalle scogliere rocciose che su sabbia, nei porti o in foce canale, con mare calmo o leggermente mosso. Considerando la “grandezza” delle prede, il catch & release di ogni preda è una prerogativa che rispetta il pesce e l’ambiente acquatico, anche perché spesso verranno catturate prede che sono al di sotto dei limiti consentiti dalla legge.

Attrezzatura

Pur trattandosi di una nuova tecnica, le aziende di settore non si fanno mai cogliere impreparate rilasciando sul mercato attrezzature specifiche come canne, mulinelli, monofili e esche appositamente studiate. Sono preferibili canne da Light Rock Fishing in due pezzi, con vettino pieno (solid tip) o in carbonio tubolare (hollow tip). La prima, con cima in carbonio pieno, è ottima per avvertire anche le più timide tocche dei pesci con bocca piccola e carattere meno aggressivo. La seconda, con la cima classica in carbonio che tutti conosciamo, è indicata per i pesci più aggressivi, che ingoiano l’esca con voracità. Se è possibile, una buona combinazione per non farsi trovare impreparati è munirsi di due canne distinte, una adatta al ghiozzo, bavosa o tordo con azione 0,5/5 grammi, l’altra per una light “spinning” alla mormora o all’orata su fondali sabbiosi da 2/10 grammi. Il mulinello che bisogna scegliere deve essere canonico taglia 1000 per fermarsi al 2500, con una bobina ampia e buona riserva di monofilo. Imbobineremo un nylon o fluorocarbon evitando il trecciato perché irrigidisce tutto il sistema. Il nylon è un giusto compromesso tra prezzo e prestazioni, mentre il fluorocarbon resta la scelta per i puristi che si adegueranno a diametri dello 0,18/0,23.

Esche

Le esche che si usano in questa disciplina, in linea con la classica tecnica a spinning, sono artificiali di due tipologie distinte, le soft lures e le hard lures. La caratteristica principale è la loro estrema leggerezzaSoft lures e Hard lures – Esche per il light rock fishing.

La montatura

Lo Split Shot Rig è composto da uno spezzone di 5/10 cm con un amo sull’estremità e un piombino a 5/10 cm dall’amo stesso. Questo tipo di montatura consente di pescare direttamente appoggiando l’esca al fondale e, allo stesso tempo, riducendo la possibilità di incaglio e potenziali rotture. Permette di pescare appoggiando l’esca sul fondo riducendo le possibilità di incaglio e conseguenti rotture. Dettagli sulla montatura a breve in un articolo dedicato.

Azioni di Pesca

Trattandosi di spinning, valgono tutte le regole già menzionate per questa tecnica. Bisogna lanciare, recuperare ed attendere la toccata del pesce al passaggio dell’esca. Nel light rock fishing, il recupero avviene a stretto contatto con i fondali (da cui il termine rock) in modo che la testa si muova tra alghe, sabbia o rocce. Bisogna effettuare un recupero molto lento, a zig zag e con dei piccoli saltelli per stimolare il predatore all’attacco. Non bisogna mai fermarsi troppo durante il recupero, il fondale è insidioso e potrebbe far spezzare la lenza a seguito di un incaglio.

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Pesca a mosca

La pesca a mosca è un tipo di pesca sportiva definita così perché vengono utilizzate particolari esche artificiali costruite a imitazione, in tutte le loro fasi di sviluppo e vita, di insetti che nascono, si sviluppano, si riproducono e muoiono nell’ambiente acquatico, ma anche insetti detti terrestrial, come formiche, cavallette, vespe ecc. In ogni caso l’esca viene chiamata “mosca” pur imitando anche altre creature di cui il pesce si nutre, come altri pesci, gamberetti, ecc.

Attrezzatura

Viene effettuata con una attrezzatura composta da canna di diverse lunghezze e materiali (legno, bambù, fibra di vetro o grafite), mulinello per pesca mosca (detto “contenitore di coda”), una lenza di diametro decrescente (detta “coda di topo”) e vari accessori a supporto del pescatore. Tale attrezzatura è necessaria per poter lanciare l’esca artificiale (detta “mosca”) a volte avente pesi molto leggeri, a diversi metri di distanza, tramite delle tecniche di lancio a volte molto complicate, volte alla migliore posa possibile dell’artificiale in acque spesso mosse. Alla coda di topo viene legato un finale conico di nylon di lunghezza variabile in rapporto al tipo di esca e alla lunghezza della canna, oltre che all’ambiente di pesca (2–5 m).

Tecnica

La tecnica del lancio, come della costruzione degli artificiali, può essere appresa studiando manuali o frequentando un corso. Le tecniche di pesca in torrente sono essenzialmente quattro: mosca secca, mosca sommersa, ninfa e streamer. La mosca secca si utilizza quando i pesci si stanno alimentando in superficie mangiando gli insetti che si sono posati sull’acqua. Quindi si usano in questo caso esche di medio-piccola grandezza estremamente galleggianti. L’esca riproduce un insetto nello stadio vitale detto “imago”, corrispondente allo stato adulto dell’insetto. La mosca sommersa si utilizza quando i pesci si alimentano subito sotto la superficie. In questo caso l’esca imita lo stadio vitale dell’insetto detto “sub-imago”. La ninfa si utilizza quando i pesci stazionano sul fondo e si nutrono di insetti subacquei e larve, detti “ninfe”. Si usano quindi esche piombate. La piombatura in questo tipo di pesca non viene mai applicata alla lenza ma direttamente nella costruzione della mosca, aggiungendo alcune spire di filo di metallo (piombo, rame o tungsteno) sull’amo o servendosi di piccole sfere metalliche forate e inserite nell’amo dette testine. Lo streamer è una tecnica che si avvicina molto a quella dello spinning in quanto vengono utilizzate esche di dimensioni medio-grandi da recupero. Si tenta in questo caso di imitare piccoli pesci, gamberi, rane e piccoli roditori. Le esche vengono lanciate e recuperate con piccoli strappi dati dalla punta della canna o dal recupero repentino della coda di topo. La pesca a mosca è considerata da molti una forma d’arte che va oltre la semplice cattura di un pesce da esibire agli amici. Più che la cattura di per sé, è infatti considerato di maggior importanza la modalità con cui la preda viene catturata, portando ad esempio il gioco del golf, nel quale lo scopo non è semplicemente il mettere una pallina in un buco per terra, ma il come farlo (con mazze da golf di diverso tipo). È consuetudine da parte dei pescatori a mosca pescare cercando di provocare il minor danno alla fauna ittica. A questo scopo si usano sovente ami senza ardiglione, secondo il cosiddetto spirito No-Kill: rilasciare sempre il pesce che si cattura, qualunque sia la taglia, se il suo prelievo reca un danno significativo all’ecosistema del corso d’acqua.

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Dentice (Dentex dentex)

Dentex dentex, conosciuto comunemente come dentice, è un pesce d’acqua salata appartenente alla famiglia degli Sparidae. Comune nel Mar Mediterraneo. Avvistato anche nell’Oceano Atlantico orientale, dalle isole Britanniche alla Mauritania, talvolta sino al Senegal e alle isole Canarie. Ha abitudini demersali. Frequdownload.jpgenta fondali rocciosi o sabbiosi, da 0 fino a 90 metri di profondità. Questo pesce ha una sagoma vagamente simile a quella dell’orata ma ha bocca più grande e fronte diritta che gli conferisce un’espressione “accigliata”. La bocca è armata di robusti denti caniniformi. Gli esemplari giovani, di colore bruno azzurro con pinne nere, hanno colorazione differente dagli adulti, che perdono la componente marrone a favore di una colorazione grigio-azzurra con punti blu intenso e neri che spariscono alla morte dell’animale.

Informazioni alla Pesca

Preda molto ambita nella pesca sportiva. È pescato con le tecniche della traina, del vertical Jigging, del surfcasting e dai sub, per i quali è uno dei pesci più difficili e ricercati. Commercialmente, invece, viene pescato con i palamiti e le reti. La sua carne, magra e saporita, è piuttosto pregiata. In Italia la maggior parte del Dentice commercializzato è originario delle coste atlantiche africane ed appartiene ad altre specie come Dentex macrophthalmus e Dentex gibbosus. Negli ultimi anni si sta tentando di allevarlo in acquacoltura.

Informazioni alla Pesca

Preda molto ambita nella pesca sportiva. È pescato con le tecniche della traina, del vertical Jigging, del surfcasting e dai sub, per i quali è uno dei pesci più difficili e ricercati. Commercialmente, invece, viene pescato con i palamiti e le reti. La sua carne, magra e saporita, è piuttosto pregiata. In Italia la maggior parte del Dentice commercializzato è originario delle coste atlantiche africane ed appartiene ad altre specie come Dentex macrophthalmus e Dentex gibbosus. Negli ultimi anni si sta tentando di allevarlo in acquacoltura.

Curiosità

Considerato eccellente per le sue carni, viene comunemente cucinato alla griglia, ma è buono anche in forno e, se di dimensioni ampie, anche farcito.

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E tu lo hai mai pescato o incontrato?

facci sapere nei commenti saremo felici  di discuterne assieme e leggere le vostre esperienze.

Traina

La traina è una tecnica di pesca sportiva. La tecnica consiste nel navigare trainando, con l’utilizzo di apposite canne, degli artificiali o del pesce vivo. Si distingue ulteriormente in traina costiera e traina d’altura (big game).

Tecnica

La traina con gli artificiali si applica ad una velocità dai 2 ai 9 nodi, mentre la traina con il pesce vivo a circa 0,5/1.2 nodi. Il pesce vivo o il cefalopode, preferibilmente pescato in giornata, viene conservato in apposite vasche, (chiamate vasche del vivo), installate sulle imbarcazioni, che garantiscono il perfetto stato fino all’innesto degli ami. Il metodo più efficace consiste nell’inscenare una “caccia” ovvero porre ad una distanza ravvicinata dallo specchio di poppa l’artificiale più piccolo, e a distanze maggiori artificiali più grandi. Le probabilità di cattura aumentano navigando seguendo il moto ondoso, la corrente marina e variando il numero di giri del motore (simulando il motore diesel di un peschereccio).

Attrezzatura

L’attrezzatura consiste nell’impiego di canne che variano dalle più “leggere”, 3/6 libbre fino alle 50/80 libbre, scelte in proporzione alla distanza dalla costa, alla profondità del fondo marino ed alla preda che si vuole insidiare. . L’amo di coda (pescante), può essere fermato con un elastico, è più semplice, rapido e meno traumatizzante.

La traina di profondità si pratica utilizzando:

  • gli affondatori idrodinamici
  • i fili autoaffondanti in metallo
  • i piombi a sgancio rapido (a tortiglione o con clip)
  • i fili in dacron con anima piombata
  • il piombo guardiano
  • la palla di cannone o bal de fer (che può anche essere mascherata da polpo in modo da risultare attirante)

Gli artificiali:

  • autunno e primavera: artificiali di colore scuro
  • estate: artificiali con colori chiari e vivaci (rosso)

Esca

L’utilizzo di esca viva, principalmente la seppia, il calamaro, l’aguglia e le occhiate o il cefalo si applica innescando su due ami il pesce-esca, un amo trainante e uno “pescante”

Prede

La traina costiera viene generalmente praticata nel periodo di primavera – estate – inizio autunno, momento in cui, grazie al surriscaldamento delle acque, i pesci tenderanno a spostarsi sotto costa per deporre le uova, cercare cibo, migrare o semplicemente cacciare. Le prede per chi pratica questo tipo di pesca sono molto varie e le attrezzature da usare abbastanza economiche. Questo rende la traina costiera un momento fondamentale per chi voglia avvicinarsi alla traina d’altura o più in generale alla traina col vivo. Le prede più comuni sono: aguglia (pescata in genere con gli artificiali a matassina), dentice (pescato in traina di profondità), dotto, leccia e leccia stella ,ricciola, palamita, occhiata, pesce serra, sgombro, sugarello e spigola.

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Top Shot

Da qualche anno è arrivato anche in Italia il trend di pescare i tonni con il trecciato in bobina. Questo multifilo, al contrario del nylon, che presenta un considerevole allungamento, è totalmente privo di elasticità, cambiando radicalmente la metodologia del recupero del pesce e le attrezzature. La pesca con il trecciato, In Italia ha preso l’appellativo di Top Shot. La si pratica prevalentemente con canne anellate montate acid wrap, ovvero con andamento elicoidale rispetto al fusto. Questa scelta viene preferita per poter sfruttare al massimo la flessibilità della canna, senza che il trecciato entri in contatto con il fusto, ma è possibile usare anche canne con anellatura tradizionale. Le canne da usare con i trecciati devono essere flessibili e potenti, per sopperire all’assenza di elasticità del filo, e sollevare il tonno in fase di pompaggio. Questa nuova tendenza ha fatto nascere tutta una serie di attrezzi dedicati, che hanno dato un nuovo volto alle canne da tonno. I mulinelli per la pesca con il trecciato devono avere, a loro volta, caratteristiche meccaniche di prim’ordine. A fronte di dimensioni molto ridotte rispetto a quelli imbobinati con il nylon, devono avere un dragmolto potente ed è preferibile abbiamo due velocità, per facilitare il recupero del tonno nelle fasi finali, ovvero quando si pianta sotto la verticale della barca. I trecciati possono essere sia a sezione piena, che a sezione vuota, ovvero hollow core. Non avendo elasticità si preferisce usare trecciti potenti, nell’ordine delle 80-100 libbre. Questo permette di tirare il pesce con forza e di sfruttare al massimo la flessibilità della canna.

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